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mercoledì 27 luglio 2011

Porretta Soul Festival tra emozioni e dolori

E finalmente, sono andata al Porretta Soul Festival. Era dai tempi dell'università che sentivo parlare di questa rassegna musicale, che nella mia ignoranza confondevo un po' con le altre che popolano l'estate di noi italiani, quando non vogliamo andare al mare (Pistoia Blues, Umbria Jazz...)
Quest'anno m'è venuta l'ispirazione e mi sono organizzata con sette amici e il mio cane. Partiti sabato pomeriggio, in auto doppio cd di Otis Redding per entrare nel mood. Era la prima volta per tutti e non sapevamo cosa aspettarci.

Amo Otis Redding, Marvin Gaye, Barry White, Al Greene, Aretha Franklin, ma non sono una grande esperta di musica soul. Non certo quanto gran parte del pubblico che ho incontrato al Rufus Thomas Park: decine e decine di afecionados - età media quaranta/cinquanta - che non si stancano di tornare, anno dopo anno, nonostante gli spazi angusti, i bagni fetenti e le chiappe che si atrofizzano sui gradoni di cemento. E anche per gli artisti, in molti casi, non era la prima volta a "Porreda" (come la chiamano loro). Questo probabilmente fa sì che si crei un "gruppo di amici" che si danno appuntamento in quel grazioso paesino termale sugli Appennini, ogni anno a luglio. Insomma, sotto certi aspetti "se la cantano e se la suonano" mentre i porrettani guardano da lontano, dalle finestre delle case che circondano il parco. E l'impressione che si prova arrivando è un po' quella di entrare in una festa privata. In cui le facce sono quasi sempre le stesse, come quelle del gruppo che si siede sotto il palco e subisce danni irreparabili al fondoschiena pur di stare vicino vicino ai musicisti, ed essere chiamato a ballare sul palco. Mi si chiederà come io lo possa affermare, dato che era la prima volta che ci andavo... ma esiste internet, esiste youtube, e quindi... Ma questa, forse, è soltanto una cattiveria gratuita, che pronuncio perché mi spiace aver scoperto solo ora questo mondo. E poi non posso certo dire di essermi sentita esclusa, di non aver provato forti emozioni nell'ascoltare quelle voci e quella musica.

Tutti noi del gruppo di neofiti giunti da Bologna e da Treviso con furore, ne siamo rimasti entusiasti, colpiti. Chi non riesce a togliersi dalla testa il ritornello della vulcanica Sugar Pie De Santo, In the basement that's where we're at e le sue smorfie, le sue mosse. Chi ha apprezzato le canzoni forse un po' più malinconiche di Percy e Spencer Wiggins, e il completo blu del primo. Chi ha elogiato la voce di Swamp Dogg, che è entrato sul palco con un completo arancio e gli spartiti sotto il braccio, come un pastore col suo breviario. E mi ha stupito quando dopo un'ora seduto alla tastiera gli è venuta la bizzarra idea di alzarsi e venire a stringerci la mano (spero di non essere stata ripresa dalla videocamera mentre con una mano stringevo la sua e con l'altra trattenevo il mio cane per il collare, per paura di qualche "incidente diplomatico"). Per quanto mi riguarda, il mio idolo della serata è Harvey Scales, con le sue scarpe dorate, il suo sorriso e la sua ironia, e la bellissima Disco Lady con la quale ha coinvolto tutto il pubblico in un'allegra danza. E poi McKinley Moore, che ho sentito cantare in piazza prima del concerto al parco: mi ha affascinato la sua voce così simile a quella di Otis Redding. Per non parlare dei musicisti che accompagnavano gli artisti... E ricorderò questa serata anche perché poco prima del concerto abbiamo appreso della morte di Amy Winehouse, che anche Sugar ha ricordato prima di iniziare a cantare. Non ne ero una grande fan, ma la sua morte mi ha colpita ugualmente.

Grande concerto insomma, e serata indimenticabile. Credo e spero ci tornerò ma, la prossima volta, portandomi dietro un cuscino per le mie povere chiappe.

mercoledì 30 marzo 2011

FACCIAMOCI DEL MALE

Domenica di marzo, nonostante il tempo instabile c'è già il desiderio di passare qualche ora nella natura, magari passeggiando tra i ciliegi e i mandorli in fiore, fingendosi per qualche minuto pastori dell'Arcadia. Siamo in quattro e due di noi ancora accusano l'eccessiva dose di alcol introdotta nel corpo la notte precedente. Naturalmente, sono una di questi. Così ci viene in mente di andare "Dal Nonno", ad assorbire i residui alcolici con qualche soffice e calda crescentina, un paio di tigelle, e a far riposare le membra e gli occhi stanchi - ché basta un filo di luce ad offenderli - seduti sulle seggiole del cortile, mentre poco più in là riposano anche le colline bolognesi.

Arriviamo alle 14.30 e vediamo che i numerosi tavoli sono per lo più occupati, mentre altri gruppi - soprattutto di giovani - continuano ad arrivare. Che bello, - pensiamo - nonostante l'ora ci daranno da mangiare!
I camerieri ci passano davanti tre o quattro volte fingendo di non notarci, finché io fermo una ragazzina col grembiulino e lei mi dice che possiamo sederci a quel tavolino che si è appena liberato. Ci sediamo. C'è un clima festoso, poco lontano da noi una lunghissima infinita tavolata di ragazzi e ragazze, avranno sui venti-venticinque anni, tutti belli, "alternativi", gioiosi. E poi coppie, trii, quartetti, tavolate più o meno grandi sparse qui e lì. E quest'aria di primavera... perfino il mio cane ne è travolto, ha addocchiato un bracco femmina di uno stupendo coloro argento, e si chiamano a vicenda mugolando.

Ce ne stiamo lì beati - a parte io e quell'altro, che ha preso una pastiglia per il mal di testa il cui effetto sta svanendo - e intanto i camerieri ci passano davanti una, due, tre, quattro volte. Li chiamiamo, ci ignorano. Un cameriere tarchiatello - che dall'aspetto da nerd ho dedotto che nella vita di tutti i giorni studi da informatico, non so se sistemista o programmatore - mi fa addirittura un cenno con la mano che un po' sembra dire "aspetta" e un po' sembra mandarmi affanculo. Poi finalmente arriva una cameriera un po' più affabile, che prende le ordinazioni e sparisce. Torna subito dopo con le bibite (cosa più unica che rara, solo il mio ragazzo ordina del vino, è lui quello che si regge più in piedi di tutti o forse vuole solo farci sentire delle schiappe mentre in realtà sta peggio di noi) e sparisce di nuovo. Siamo rincuorati dalla rapidità con cui ci hanno portato da bere e pensiamo che dopo tutto ci vuole poco per friggere una crescentina... Ma i minuti iniziano a passare. Sono cinque, poi dieci, poi venti... Dopo mezz'ora sentiamo delle grida di giubilo provenire dalla tavolata dei giovani carini e alternativi. Io mi volto... hanno esultato per l'arrivo del cibo. Ce ne stiamo lì buoni buoni, ad aspettare. Prima o poi toccherà anche a noi questa fortuna. E intanto il tempo passa... diciamo che siamo remissivi perché prima di tutto anche noi abbiamo fatto i camerieri e sappiamo quanto siano noiose le persone che si lamentano e chiedono "scusi, quanto ci vuole ancora?" e poi perché sinceramente un po' eravamo preparati, avevamo letto delle recensioni su internet di gente che c'era stata... e si lamentava - tra le altre cose - della lentezza nel servizio. Io intanto entro in uno stato comatoso, come se tutto l'alcol della notte mi fosse tornato in circolo. Il mio amico, quello messo male quanto me, inizia ad andare avanti e indietro per il cortile. La mia amica, nonché sua ragazza, ad un certo punto va a prendere delle crescentine avanzate - fredde e rigide - ad un tavolo che si è liberato, e le sbrana. Il mio ragazzo tace.

Passa più di un'ora e decidiamo di andare a chiedere... "Mi spiace, è che molti tavoli hanno chiesto delle aggiunte" ci risponde la cameriera che ci ha portato le bibite. Ma che motivazione è questa? Vabbeh, ce ne stiamo buoni, come sempre. Dopo dieci minuti arrivano le tigelle le crescentine i formaggi gli affettati il pesto (lardo) i sottolii etc etc. E tutti iniziamo a mangiare in silenzio. Non mangio carne perciò non posso dare un giudizio in merito. Ma le tigelle sembravano di cartone, il formaggio era insipido, e il mio ragazzo mi ha detto che il vino era scadente. Ma ci siamo ingozzati come dei porci, muti e chini sui nostri piatti, fino all'ultima briciola. Forse la usano come tecnica... ti fanno aspettare così tanto che quando il cibo arriva, potrebbe essere anche una merda al forno, te la mangi di gusto.

martedì 8 febbraio 2011

Alla ricerca dell'esperienza collettiva


Viviamo immersi nelle nostre realtà e cerchiamo quelle piccole cose che ci fanno star bene.
Tutto o quasi si è trasformato in esperienza collettiva. Dai vecchi cinema nei quali veniva proiettato un solo film, siamo passati ai giganteschi multisala, veri e propri contenitori sociali, nei quali la gente si concentra in una sorta di isteria cinematografica. Per non parlare degli ipermercati e degli outlet, fenomeno non solo economico ma anche architettonico e paesaggistico (capiremo tra qualche decennio quale sarà l'impatto ambientale, forse) , che stanno soppiantando i piccoli negozi di paese. Anche in questo caso la gente vi si riversa in massa, intraprendendo anche lunghi viaggi in autostrada, pur di essere presenti e pronti a sfruttare le "offerte" del giorno. Con buona pace dei centri storici delle città, che stanno subendo una sorta di desertificazione commerciale.
Tutto ormai è esperienza collettiva, anche la messa in vendita di un nuovo modello di telefono cellulare. Basti pensare al caso Apple, e al suo guru Steve Jobs, che hanno trasformato il lancio sul mercato dell'iPhone in un evento di massa. Centinaia, migliaia di persone all'esterno degli Apple Store in attesa di poter acquistare l'ultimo modello in uscita (e chissà come la prenderanno i freschi possessori dell'iPhone 4, quando verranno a sapere che la prossima estate uscirà la versione 5!!!).

Mi chiedo cosa ci spinga a fare le stesse cose che fanno gli altri e se stiamo poco alla volta perdendo coscienza e conoscenza critica. Forse condividere esperienze rende meno amara la vita quotidiana ed aiuta ad avere uno o più argomenti di cui parlare quando si esce con gli amici: "Hai visto anche tu l'ultimo film con Di Caprio? Sei stato in quel nuovo gigantesco centro commerciale? Se è solo questo il motivo poveri noi!

giovedì 3 febbraio 2011

Anna Karenina e David Lynch

Ce l'ho fatta, sono arrivata alla fine. Ci ho messo un mese soltanto, del resto. Non come quella volta con Don Chisciotte, cinque mesi se non sbaglio. O con la Recherche, due anni e mezzo. E anche questa volta ne è valsa la pena.
Sentivo come un mio dovere leggere Anna Karenina: una vergogna trascurare uno dei pilastri del romanzo moderno! Ma non è stato faticoso, come avevo pensato e temuto. E' stato anzi un viaggio avvincente nella Russia aristocratica dell'Ottocento, nella vita e nella mente di alcuni personaggi che resteranno eterni nella memoria collettiva di tutti noi lettori. Su alcune parti (incluso il finale, con rivelazione del senso della vita per uno dei protagonisti) ho le mie riserve... ma è una storia bellissima e leggerla è stato come vivere una vita, tante vite in più, piene di senso.

Ma leggere Anna Karenina mi ha portato anche a pormi alcune domande. Prima fra tutte: è un romanzo osannato dai critici, dalla maggior parte dei lettori di anobii.com (la fonte per me più attendibile), che ha fatto la storia della letteratura moderna. Eppure, per quanto sembri ancora "benvoluto" dalla comunità dei lettori, mi rendo conto che differisce moltissimo dai romanzi che oggi hanno tanto successo. Oggi un editore non pubblicherebbe MAI un libro del genere, un tomo di 800 e più pagine la cui trama, seppur a tratti avvincente, si sfarina e si sperde tra i mille insignificanti avvenimenti quotidiani, tra le varie peripezie psicologiche dei personaggi, nelle scene di vita all'interno dei salotti aristocratici di Mosca e Pietroburgo e nei quadretti di vita rurale. Non sarebbe commerciabile, non renderebbe. E allora, come si spiega il successo di questo romanzo, la fama che nonostante i secoli perdura? Mi viene da chiedermi... forse, come per Proust, tanta gente ama citare questo e altri romanzoni russi, senza averli mai letti davvero? O, forse, si sbagliano gli editori, e scrivere un libro così oggi sarebbe comunque sensato, ci sarebbe un gruppo nutrito di lettori pronto ad acquistarlo? Magari è come per la televisione... guardiamo e siamo ormai abituati a tutti quei programmi pessimi, ma non appena trasmettono un film o una trasmissione di un certo livello lo share si impenna. Sporadici esperimenti mediatici che ci regalano comunque ancora qualche speranza.

E poi ho un' altra domanda, un dubbio che mi è sorto non appena ho letto queste parole:

La mattina un terribile incubo, che le era apparso parecchie volte nei sogni ancora prima
della relazione con Vrònskij, le apparve di nuovo e la svegliò. Un vecchietto con la barba arruffata
faceva qualcosa, chinato su del ferro, dicendo intanto parole francesi senza senso, e lei, come
sempre in quell’incubo (il che appunto formava il suo orrore), sentiva che quel mužicjòk non faceva nessun’attenzione a lei. E si svegliò in un sudore freddo.


Il vecchietto ritorna più volte nei sogni di Anna Karenina e verso la fine del libro. Sempre inquietante e insensato.

Che David Lynch, per il suo nano di Twin Peaks, che balla e parla al contrario, si sia ispirato a lui? Secondo me è molto probabile.

martedì 1 febbraio 2011

La vita è una ripetizione?


Avete mai visto "Ricomincio da capo"? Un bel film di qualche anno fa, ambientato in un paesino della Pennsylvania, nel quale Bill Murray interpreta un giornalista di una televisione locale incaricato di realizzare un servizio sulla festa per la celebrazione del Giorno della Marmotta. Qui si ritrova inspiegabilmente intrappolato in una sorta di vortice temporale, che lo porta a svegliarsi sempre alle 06.00 del mattino dello stesso giorno, e a rivivere le stesse situazioni con le stesse persone.
Prendendo spunto da questo film e riflettendo sommariamente sulla vita della maggior parte di noi mi sono chiesto: viviamo una vita ripetitiva? Siamo appagati e sicuri quando rifacciamo più o meno le stesse cose ogni giorno, ma perché? Perché ci comportiamo in questo modo? Forse stiamo tutti rincorrendo qualcosa, e in questo rincorrere ci troviamo a fare sempre le stesse cose? Forse cerchiamo inconsciamente di rifarle meglio, per avere un'altra occasione, per riscattarci? Troppe domande, senza risposta.